LE GUARDIE DELLA SCHIARA: la storia di Elena Zamberlan al Rifugio Pian de Fontana


Dopo la sveglia alle 3 di notte, sono partito dall’Alta Badia in direzione La Stanga (BL), viaggiando tra volpi, cervi e il sole che pian piano iniziava a illuminare le cime, regalandomi uno scenario davvero incredibile. Lasciamo una macchina a La Stanga e ci spostiamo a Soffranco in Val di Zoldo, punto di partenza per la nostra traversata sul Gruppo della Schiara. Qualche giorno prima avevamo intervistato Chiara e Fabrizio del Rifugio Settimo Alpini, oggi però è il giorno di Elena del Rifugio Pian de Fontana e di Enzo, del Rifugio Bianchet. 

Dopo circa 900 m di dislivello arriviamo al Rifugio Pian de Fontana, a 1632 m slm e ci si apre di fronte a noi uno scenario davvero incredibile con Elena pronta ad accoglierci. Seduti nelle panchine nella terrazza del Rifugio, Elena ci racconta di lei e del Rifugio Pian de Fontana dandoci molti spunti di riflessione sul modo di vedere e di andare in montagna. 


Elena, originaria di Vicenza, gestisce da oltre 20 anni il Rifugio Pian de Fontana, diventato per lei e per Antonio, il cuoco, la loro “casa” e una delle principali attività che la impegnano nella parte bella del suo tempo. Il Rifugio si trova nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, con un sacco di animali liberi tra cervi, camosci, aquile, marmotte e tanti altri piccoli animali di ogni genere. 

“È un rifugio a 1632 metri, che era una malga quindi a vocazione proprio di alpeggio e poi è stata trasformata in Rifugio nel 1993” ci racconta Elena, “quindi una malga degli anni ’30, che ha funzionato fino agli anni ’60/’70 e poi nel 1993 è diventato un Rifugio del CAI di Longarone e quindi della comunità di Longarone. Noi siamo arrivati qua nel 2002 e questa è diventata casa.”

“È stato un caso arrivare proprio qui perché l’intenzione c’era, nel senso che io facevo tutt’altra cosa, lavoravo in ufficio, ero stanca morta, non era il mio, e sentivo forte il bisogno di andare in montagna. Lì ho cominciato a cercare un modo, perché l’obiettivo era la montagna, e cercavo delle possibilità che mi portassero in quella direzione lì e ho trovato il Rifugio. Prima ho tentato di entrare nella forestale, nel primo anno di apertura alle donne, ma non è andata e poi mi son detta “Ah, ma ci sono i Rifugi, i rifugi sono in montana, io voglio andare in montagna” e quindi ci ho provato. Ho inviato diverse domande, a molti CAI che frequentavo e quindi era un po’ più vicino a quello che già conoscevo e sono arrivata qua”

Elena ricorda benissimo il primo giorno da Rifugista al Pian de Fontana, un giorno tragico! Sono saliti alle 7 di sera con la pioggia, era il 2002 e pioveva tutti i giorni, e una volta arrivati in Rifugio hanno trovato l’impresa che stava lavorando per il posizionamento della turbina idroelettrica e c’erano persone, cose, attrezzi, demolitori ovunque. “Siamo saliti appunto la sera e c’erano persone che erano qui da un po’ a lavorare, si erano accampati ovunque e poi sono diventati veramente le persone che ci hanno aiutato di più. Il capo impresa che era qui, era un ex gestore di rifugi, ed è stata una benedizione perché ci ha aiutato in mille cose. Iniziare a gestire un Rifugio non è semplice, parlo del mio ma sentivo anche Chiara che ha iniziato quest’anno, non sono rifugi semplici per tantissimi motivi, perché son fuori, sono lontani, perché dal punto di vista anche della produzione dell’energia non è che attacchi la spina e va tutto. Bisogna produrla in luogo, bisogna gestirla e quindi era tutto nuovo per noi, compresa la teleferica. E avere queste persone di grande esperienza e di grande generosità è stato davvero provvidenziale. Lui ha gestito il Rifugio Tissi per tanti anni ed era una persona di cuore, esperta e rivolta proprio agli altri. Siamo stati proprio fortunati.”

Parlando della comunità di Longarone e di Igne, che supportano ogni giorno e in ogni circostanza il Rifugio Pian de Fontana, Elena dice “Io dico che questa è casa mia ma non è vero, nel senso che io arrivo qua, ci sono da 20 anni, ma ci sono solo d’estate. Qua ci sono persone che hanno fatto di questi luoghi veramente il luogo di lavoro e di vita. E quindi è loro prima di tutto. Adesso immagina, si fa fatica a venire su per fare una passeggiata, questi arrivavano su e si mettevano a lavorare. Erano persone che facevano grandi fatiche e provano un grande amore per questi luoghi che sono i luoghi dei papà, i luoghi dei nonni, i luoghi che hanno sentito raccontare da sempre e quindi non può che essere così, questo appartiene a loro”. 

Abbiamo chiesto a Elena una sua visione sul giusto mix di globalizzazione e tradizione al Rifugio Pian de Fontana, e la sua risposta è stata: l’identità. “C’è un rischio molto forte di perdere l’identità, in particolare per i Rifugi, che non vuol dire essere chiusi al cambiamento, perché qua sono sempre stati fatti dei cambiamenti, è stata messa a punto una turbina idroelettrica che non c’era, è stato messo in funzione un sistema di pannelli foltovoltaici che non c’era, sono stati fatti dei cambiamenti e dei miglioramenti, però la struttura e il modo di gestire è questo. È vero che poi ci sono delle richieste in più, ci sono dei bisogni diversi, però secondo me siamo ad un punto di svolta.” 

“Poi essere qui è un regalo, è un privilegio, lo dico sempre, ma quanto fortunata sono stata? È esaltante delle volte star qua, proprio esaltante. Quello che mi pesa tanto però è il mancato riconoscimento di che cos’è un Rifugio. Noi gestori di Rifugio siamo tanti, ci sono tanti tipi di rifugi diversi, ma secondo me manca una classificazione. È tutto Rifugio adesso, ma non è vero. Siamo in tanti, diversi, con caratteristiche completamente diverse. Perché se la produzione di corrente può essere uguale per tanti rifugi, la differenza sostanziale la fa l’avvicinamento. Un Rifugio a 2 ore e mezza di cammino non è la stessa cosa di un Rifugio a mezz’ora venti minuti o che ci arrivi in funivia o in 5 minuti. Qua sei lontano da ogni cosa, al Settimo sei lontano da ogni cosa, questa è la vera differenza.” 

Elena in questa sua intervista che vi consiglio di continuare ad ascoltare sul podcast “Andata e ritorno – Storie di montagna” o guardandola nei video YouTube che trovate di seguito, si è veramente lasciata andare e ci ha raccontato (oltre alla sua incredibile esperienza) una visione della montagna che apprezziamo molto e che cercheremo con il tempo di trasmettere anche a tutti voi. 

Quindi, con calma e con rispetto, salite al Pian de Fontana per conoscerla di persona. Siamo sicuri che, come è successo a noi, vi lascerà dentro un segno indelebile.