La storia di Claudio Ghizzo, in arte @dolomitiwildlife: sulle tracce dei fantasmi | QUOTA

Il primo ospite di QUOTA, il nuovo progetto in collaborazione con Sebastiano del podcast “Andata e ritorno – Storie di montagna” è Claudio Ghizzo, conosciuto dal pubblico come @dolomitiwildlife: un maestro solitario e silenzioso che ci ha concesso una grande opportunità il cui motto è “rimani alto, rimani selvaggio”.

Claudio è un fotografo naturalista, nonché infermiere e profondo amante delle terre alte.

Il suo set personale è composto da arene per le battaglie dei galli forcelli e anfratti popolati da stambecchi. Un cacciatore di momenti, altrimenti impercettibili. Un cacciatore che non uccide, ma che riporta a valle attimi di vita. Trovare un fotografo in purezza come Claudio equivale a inquadrare una pernice bianca dentro un pesantissimo obiettivo 150-600, sù per versanti ghiacciati in cui si sente soltanto il suono del vento. Lo incontriamo a Valt, una frazione del comune di Falcade che – in inverno – conta sì e no 15 persone. Nel 1977 se ne contavano 59. Da qui ci dirigiamo nel bosco, dove tra il rumore degli alberi e qualche animale ne esce una delle interviste più belle in cui si parla di montagna, di natura, di fatica e di fotografia.

Ho iniziato a girare le montagne della zona Agordina nel 2013″ ci racconta Claudio “e poi come una sorta di calamita ho conosciuto la mia ragazza e sono arrivato qui alle pendici delle cime d’auta e proprio qui ho riscritto la mia storia. Adesso sta iniziando un nuovo magnifico capitolo con l’arrivo di un bimbo a cui spero di riuscire a trasmettere questa mia passione e fargli capire e fargli conoscere la mia casa di lassù, sulle terre alte.

Dieci anni di fuoco quindi? “10 anni di fuoco, 10 anni di sbagli, 10 anni di crescita fotografica e 10 anni anche in cui ho seguito una colonia di stambecchi che è ormai per me una sorta di famiglia, gli ho dato anche dei nomi. Ad esempio c’è uno stambecco che è senza un occhio e l’ho chiamato “Willy l’orbo” ed è proprio il simbolo della resilienza perché l’ho conosciuto tre inverni fa e dopo tre inverni è ancora lì che se la cava bene.”

A proposito di fatica e di rinuncia, cosa ne pensi e che rapporto hai con queste due sensazioni? 

Ma allora devo dire che ho fatto un periodo in cui andavo in montagna e non fotografavo niente. Era frustrante. Poi un amico mi ha fatto capire che ogni tanto vai per la foto ma è anche il momento che passi lassù, capita di andare su e non vedere niente però bisogna sempre andare nell’ottica che “ho avuto privilegio di passare una mattinata in natura”, magari mentre altra gente e altri amici sono chiusi in fabbrica, e invece ero su in alto. Non ho visto niente? Pazienza. Però sicuramente ho imparato qualcosa che nel momento non so descrivere ma che prima o poi verrà fuori.

Qual è invece il tuo approccio con la fotografia in generale?

“Diciamo che sono partito ancora dalla pellicola perché io sono sulla mezza via dal passaggio da pellicola a digitale, data la mia età, ma io ricordo una fujica con 50 mm quindi non un teleobiettivo e un uccello su un albero. Volevo fotografarlo. L’ho fatto, è venuto fuori uno schifo però probabilmente era già l’imprinting di voler fotografare la natura. Poi diciamo che il digitale facilita sicuramente questa pratica perché il digitare un po’ una fotografia consumistica e di tanti scatti magari ne hai due buoni e resto lì devi gettare, se fosse a pellicola sarebbe veramente un salasso economico.

A livello di sfida e crescita fotografica Probabilmente si, tornerei all’analogico, però sarebbe veramente molto difficile. Diciamo che il digitale ha un po’ reso democratica anche la fotografia perché comunque ognuno con il digitale può avere uno scatto bello invece con la pellicola ogni scatto è ragionato.”

Puoi ascoltare l’intervista integrale a Claudio Ghizzo su tutte le piattaforme podcast e lasciarti condurre in questo viaggio sulle tracce dei fantasmi.