Siamo così felici di essere tornati a raccontarvi le Storie di vita sulle Dolomiti in modo particolare quando conosciamo e leggiamo di storie come quella di Filippo, 25enne alla guida del Rifugio Petina, ai piedi del Gruppo delle Pale di San Martino. Filippo ci ha raccontato di come è stato il suo percorso per arrivare a gestire il Rifugio Petina e abbiamo parlato con lui di montagna, di com’è la vita da rifugista e di quali sono delle azioni concrete che si potrebbero attuare per trasmettere cultura, tradizioni e rispetto per l’ambiente. Ne è uscita una bellissima intervista che potete leggere di seguito 🙂
Filippo è laureato in scienze e cultura della gastronomia all’università di Padova con una tesi sul recupero delle terre alte studiando il caso degli amici della contrada bricconi. Fin da piccolo ha sempre amato la montagna andando con i suoi genitori a fare i weekend fuori porta con il vecchio camper. Le tappe più gettonate erano il trentino, l’alto adige e l’altipiano di asiago, in quelle gite i genitori di Filippo gli hanno trasmesso sempre più anche la passione per l’agricoltura e l’allevamento, “rimanendo affascinato dalle vacche che pascolavano o dai contadini che tagliavano l’erba sui quei grandi trattori che poi volevo avere in versione giocattolo della bruder” 🙂 Questa curiosità poi ha plasmato il suo percorso di studi facendo la scuola agraria a Feltre e poi appunto l’università ma con un approccio più attento al cibo, portando Filippo anche a fare un corso da casaro e a lavorare il latte per qualche tempo.
La famiglia Moroni è originaria di Padova, trasferitasi in Trentino nel 2007 quando il piccolo Filippo aveva 7 anni e i genitori deciso di lasciare il negozio di alimentari in pianura per iniziare una nuova vita in montagna. Il periodo non è stato dei migliori, dato che di lì a poco sarebbe scoppiata la crisi economica ma sono comunque riusciti a resistere e a cambiare vita in tutti i sensi. I genitori hanno iniziato lavorando in un albergo in valsugana e poi, 3 anni dopo, hanno gestito in autonomia un piccolo albergo in Val Campelle. Nel 2018 avvenne il definitivo trasferimento in Primiero e da quel momento ebbe inizio la loro avventura Dolomitica.
“Comunque il trasferimento io l’ho vissuto abbastanza bene data la mia età” ci racconta Filippo. “Penso spesso a come sarebbe stato se avessi dovuto cambiare poi, forse non sarei partito chissà, comunque sono felice che abbiano fatto questo passo, siamo partiti quando il tema del cambio di vita non si poneva molta, oggi fa notizia, all’epoca faceva (passami il termine) pazzia mollare tutto anche con un bambino piccolo, tra l’altro ho anche una sorella più grande che non è voluta partire ed è rimasta giù quindi un passo importante per tutti devo dire.”
La vita da Rifugista sulle Dolomiti
Abbiamo chiesto a Filippo di raccontarci com’è la vita da rifugista e di quali sono gli aspetti più belli e quelli più difficili di questo lavoro.
“Secondo me anche alla luce che oggi tanti vogliono cambiare la questione da tenere a mente è questa, la montagna se ci piace così com’è o vogliamo migliorarla va vissuta, nel senso che va lavorata, gestita, curata e in alcuni momenti salvaguardata, non basta solo viverci, mi piace citare spesso un grande studioso della montagna abbandonata, Mauro Varotto che dice che le montagne hanno bisogno di abitanti e non di residenti.
Noi siamo a 1200 metri e siamo anche serviti da una strada, quindi rispetto ad altri siamo fortunati, comunque in inverno non siamo serviti dal servizio pulizia strade e quindi si sale solo a piedi, poi ci scaldiamo solo a legna e quello e un gran bel paio di maniche, ma se vogliamo è una palestra quasi gratuita😅.”
“Un’altra difficoltà questione poi sono i collaboratori, se oggi il mondo della ristorazione ha grossi problemi nel reperire personale qui devi metterci anche il fatto che non tanti vogliono farsi una stretta stradina e quindi devo andarli a recuperare io giù in paese oppure nel periodo estivo dedicare un alloggio a loro dedicato, anche se devo dire che per ora i problemi per noi sono stati relativi dato che abbiamo deciso di pagare bene le persone, fatto non scontato oggigiorno, ovviamente al questione sono anche i rifornimenti perché devi tutti i giorni scendere a fare la spesa o portare le immondizie.
Mentre credo che gli aspetti belli siano tanti, sicuramente maggiori delle difficoltà altrimenti non farebbe nessuno questo mestiere credo, direi che vivere in un luogo dove tutti vorrebbero stare e fuggire da un grigio appartamento basterebbe, ma te ne aggiungo altri.
La possibilità di poter lavorare della montagna, per la montagna e con la montagna e soprattutto come dicevo sopra mi piace l’idea di far parte di quegli abitanti che in qualche modo mantengono il territorio anche se sicuramente in maniera marginale. il mio sogno sarebbe anche quello di avere un agriturismo un giorno ma chissà.
Ovviamente gestire una attività non è semplice e bisogna capire che in agricoltura e ristorazione i margini sono relativamente bassi e in montagna le cose non sono migliori dal punto di vista economico ma appunto come dicevo sopra credo che ci siano aspetti oltre all’economia che attraggono me come tanti altri miei colleghi a fare questa strada.“
Abbiamo poi voluto affrontare con Filippo un tema che ci sta molto a cuore, di cui parleremo molto prossimamente sia sul nostro blog che sui nostri canali social, ossia l’importanza di salvaguardare il patrimonio culturale e ambientale di queste zone con azioni concrete per trasmettere appunto cultura, tradizioni e rispetto per l’ambiente.
Per Filippo, non è tanto una questione di zona geografica o di riconoscimento in quanto “Dolomiti” ma un tema più ampio estendibile a molte altre zone montagne, in particolare a zone meno conosciute che secondo lui sarebbero da valorizzare e far conoscere, con un turismo più lento e attento ai prodotti locali e alle comunità.
“Dobbiamo puntare anche ad un marketing più vero, spesso si vede il business della sostenibilità e si fa greenwashing come se piovesse, dobbiamo fare meno proclami e più azioni concrete anche aiutandoci con i mezzi moderni perchè no anche con l’intelligenza artificiale, io la sto già usando e capendo per non restare indietro. Dobbiamo poi far arrivare persone moderne e attente alla ruralità in un contesto rurale che spesso è molto legato al passato e che fa pochi figli… è ora di “sangue nuovo” dobbiamo essere proattivi verso il futuro.
Per azioni concrete possiamo sicuramente lavorare e collaborare tra professionisti, dobbiamo mettere insieme il know how di varie professionalità, dal ristoratore, alla guida, al contadino per creare un’offerta turistica e anche di vita alla fine che sia compatibile con il tema della sostenibilità, promuovendo, pubblicizzando e facendo eventi e proposte interne a ristoranti, hotel o agriturismi che passino il messaggio (ma che anche lo facciano davvero) che siamo consapevoli delle sfide del mondo e che vogliamo vincerle per salvare e far crescere i nostri territori.”
Tra i progetti futuri del Rifugio Petina c’è appunto la voglia di essere più parte del territorio e collaborare con guide e altre realtà locali. Già per l’estate in arrivo, Filippo ha in programma delle gite con guide che raccontano il territorio con un format “tra natura e cultura” e vuole inoltre dar spazio a momenti di presentazioni di libri con autori che parlano di montagna e della sua essenza e connessione tra uomo e natura.
Come raggiungere il Rifugio Petina
Per raggiungere il Rifugio Petina si sale dal paese di Siror con 1 ora di cammino e 400 metri di dislivello, per il sentiero 745 e poi si può proseguire con il giro ad anello per il sentiero 732 che torna sempre a Siror per altri 50 minuti.
Una bellissima alternativa è quella che arriva dalla Val Canali lasciando la macchina allo Chalet Piereni o al parcheggio del ponte Piazmador per un tempo di un ora e venti e poco dislivello circa 150 metri.
Per gli amanti della bici invece davanti al Rifugio passa il percorso “al cospetto delle pale” che collega San Martino di Castrozza con la Val Canali. Da non perdere assolutamente! 🙂